Mio nonno raccontava di averli portati lì dopo l’alluvione che nel 1979 colpì Isola Liri (FR). Salvare dei manichini da un nubifragio, ancora oggi mi chiedo perché (troppo tardi, le domande non fatte non hanno risposte).
Arrivarono insieme alla pioggia. Sgangherati, mutilati, sporchi, inutili. Tra giornaletti porno anni Settanta, cataste di quadri, regali di nozze per i miei genitori (set di posate che non conoscono cibo, bicchieri di cristallo che non hanno mai fatto ubriacare nessuno)… i manichini si fecero spazio e divennero gli inquilini del secondo piano. Chiamavo così il luogo della mia paura, secondo piano: scheletro polveroso, appartamento abortito mai diventato casa, ma ugualmente abitato.
L’Automatonofobia è la paura di tutto ciò che riproduce falsamente un essere vivente: statue, spaventapasseri, pupazzi da ventriloquo, manichini. Gli inquilini del secondo piano hanno terrorizzato la bambina che ero. Oggi prendo la macchina fotografica e torno lì per vedere cos’è cambiato. Apro le finestre di un posto che è rimasto impastato col buio per 20 anni. La luce crea tagli feroci sulle forme delle cose. La polvere si è impossessata di tutto.
Eccoli.
Il mio occhio meccanico incontra una pupilla di plastica, il dialogo è assurdo. È l’inizio di un viaggio. Scopro che il passato può essere cambiato perché non esiste.
Le foto sono state stampate da me. La camera oscura è lo spazio in cui la mia paura si è dissolta ed è diventata altro.